il villino sorse, probabilmente, intorno agli anni 40-50 in una zona di periferia dedicata alle grandi
famiglie d'Italia; non lontano dall'edifico del Buon Pastore di cui tuttavia non condivideva quasi nulla. Zona di lotti piccoli o piccolissimi, di distacchi minimi, di pretese minuscole.
Costruito, fors'anche autocostruito, con materiali tradizionali da operatori modesti che avevano fatto proprio il programma minimale del movimento moderno.
Due piccoli alloggi per piano; distribuiti da una stretta scala entro volumi elementari.
Gli spazi comuni si limitano alle scale e "l'androne" fu ricavato sotto una rampa appprofittando del piano terreno rialzato. Spazi comunque
ridotti all'osso; circostanza comune a moltissimi altri edifici siti anche in quartieri
altolocati, ma realizzati a linguaggio "zero" come si conveniva ad edifici destinati alla nuova classe lavoratrice a cui era destinato.
L'edificio...prima
Semplicità estrema ed assenza totale di "depravati" e decadenti elementi linguistici borghesi:
niente che indicasse niente: solo un'ordinata fila di finestre oscurate da semplicissime persiane.
La costruzione in tradizionale muratura portante ha impedito, comunque sia, gli "svolazzi" del c.a.: niente balconcini con parapetti chiusi
(...i famosi cassetti delle commode...) niete evoluzioni rietvildiane. Talmente povero da mettere in crisi il pittore
dell'ultima ritinteggiatura, costretto ad articolare le superfici continue dipingendo marcapiani inesistenti.
Quasi un edificio incompiuto: chiuso in fretta al momento di procedere alla sua identificazione
linguistico-architettonica.
Difetto diventato, alla fine, un pregio.
Sono bastati infatti pochi ed economici ritocchi sulla "pelle" per condurlo ad un modello, povero ma non indegno, del contesto
culturale e linguistico romano.
Bugnato semplicissimo d'intonaco, cornici, cornicione sommitale e lesene d'angolo lo hanno ridefinito e rinquadrato;
poche file di canali senza gronda hanno rievocato la copertura mancante.